Mentre penso a che cosa scrivere ho davanti agli occhi le notizie che ci stanno bombardando a proposito del coronavirus, molto spesso preoccupanti, raramente rassicuranti. La situazione si evolve di ora in ora e noi possiamo seguirla attraverso notiziari continui e approfondimenti regolari. Ormai una delle affermazioni più ripetute è: “Fa più danni la psicosi che non la malattia stessa”. Difficile dare una valutazione che non esponga a critiche, ma del resto non è l’obiettivo di queste righe. Parto dalla situazione “quasi da film” che stiamo vivendo (con la quarantena obbligata, con il bollettino quotidiano sui malati, con i timori per i riflessi economici) per riflettere sulla più grande psicosi che può colpire un essere umano: la paura della morte.
Per un cristiano la morte non è qualcosa da evitare a tutti i costi. Gesù stesso ne ha fatto esperienza e quindi si potrebbe dire che sia pienamente umana, che faccia parte dell’esistenza, tanto quanto la vita. Allo stesso tempo è qualcosa di noto e di ignoto. In quanto noto, non dovrebbe causare paura: infatti l’esperienza è la chiave che ci permette di affrontare i problemi. Quando possiamo dare i contorni delle situazioni ci sentiamo già in grado di trovare una soluzione.

Ma la morte ha anche una dimensione ignota, o meglio non può essere sperimentata a piacimento (ammesso che possa piacere). Ci fidiamo di quello che abbiamo visto accadere negli altri, quando magari abbiamo accompagnato una persona negli ultimi momenti della sua vita. Eppure pensando al termine della nostra vita, non possiamo che fermare l’immaginazione prima di perderne il controllo.
Il morire di Gesù in croce non è stata una finzione, proprio perché, solo passando attraverso questa strettoia, Dio poteva sconfiggere in un unico movimento la paura e il Tentatore (che sulla paura basa la propria forza). Non ci lasciamo irretire dalla psicosi della morte, perché siamo certi della Resurrezione! Tornando alla situazione del virus, è come se potessimo affrontarlo con la certezza della guarigione! Si trovano esperti che lo definiscono appena più di un’influenza; altri ne sottolineano la contagiosità. Sicuramente la morte fisica non è “appena più di un’influenza”. Ma la fede nel Risorto rianima il coraggio di guardare faccia a faccia questo momento inevitabile della esistenza umana.
Se San Francesco la chiamava sorella è perché andandole incontro senza paura, ma con l’intima certezza di ciò che viene dopo, essa diventa persino desiderabile. E ciò che viene dopo è la vita! Questa è l’unica certezza che protegge dalla psicosi, dalla paura, dalla tentazione di maledire l’esistenza e chi l’ha creata. Forse il coronavirus continuerà ad intaccare la tranquillità delle nostre vite per un po’ di tempo, ma noi non ci faremo trovare impreparati se sapremo cercare la protezione giusta non nelle mascherine e nei gel disinfettanti, bensì nell’unica forza che non teme confronti: Dio stesso.

Guardiamo alla Pasqua come il momento della grande guarigione della nostra vita spirituale e fisica. Per così dire, sta davanti a noi e aspetta solamente che accogliamo il dono del Signore. Forse l’esperienza del virus ci può lasciare qualcosa di buono: una più profonda coscienza di quanto siamo fragili eppure preziosi agli occhi del Signore. Senza saperlo abbiamo vissuto giorni che hanno fatto la storia, che verranno raccontati ai nipoti. Ma quando viviamo fino in fondo la nostra fede cristiana, allora sì che si compie la storia!
La storia dell’amore di Dio che non ha limiti, che prende su di sé la fatica, la paura, l’ignoto dell’uomo per trasformarlo in un vero figlio di Dio.