Don Bosco – Il Santo dei Giovani
Beatificato il 2-6-1929
Canonizzato il 1-4-1934
Giovanni Bosco nasce a Castelnuovo d’Asti il 16 agosto 1815 da una famiglia di contadini.
Il padre, Francesco Bosco, lo lascia orfano a soli due anni, e Margherita Occhiena si trova da sola ad allevare Antonio, Giuseppe e Giovannino.
Con una dolce fermezza unita a una fede senza confini, Margherita, saggia educatrice, fa della sua famiglia una Chiesa domestica.
Giovanni comincia a sentire sin da piccolo il desiderio di diventare sacerdote. Raccontò di aver fatto un sogno a nove anni, che gli rivelò la sua missione: “Renditi umile, forte e robusto”, gli disse una donna splendente come sole, “e quello che vedi succedere di questi lupi che si trasformano in agnelli, tu lo farai per i miei figli. Io ti farò da maestra. A suo tempo tutto comprenderai”. Fin da ragazzo Giovanni incominciò a intrattenere i suoi compagni con giochi di prestigio, imparati con duro allenamento, alternati a lavoro e preghiera.
L’anziano don Calosso lo iniziò agli studi sacerdotali, che dovette affrontare con fatica, fino a lasciare la sua casa per l’opposizione del fratello Antonio. Lui voleva che Giovanni lavorasse i campi.
Seminarista a Chieri, ideò la Società dell’Allegria, che raccoglieva i giovani della cittadina. Nel giugno del 1841 venne ordinato sacerdote. Il suo direttore spirituale, don Cafasso, gli consiglia di perfezionare gli studi nel convitto ecclesiastico.
Intanto don Bosco raccoglie intorno a sé i primi ragazzi, e organizza un oratorio festivo, inizialmente itinerante e poi stabile a Valdocco. Margherita, ormai anziana, accetta di venire a Torino ad aiutarlo, e diventa per i ragazzi “mamma Margherita”.
Don Bosco comincia a dare ricovero a degli orfani senza tetto. Insegna loro un lavoro e ad amare il Signore, canta, gioca e prega con loro.
Dai primi ragazzi arrivano anche i primi collaboratori. Si sviluppa così il suo metodo educativo, il famoso “Sistema Preventivo”: “State con i ragazzi, prevenite il peccato con ragione, religione e amorevolezza.
Diventate santi, educatori di santi. I nostri ragazzi si accorgano di essere amati”. I primi collaboratori diventano col tempo, grazie anche all’aiuto del Papa Pio IX, una Congregazione che mira alla salvezza della gioventù, combattendo tutte le povertà e facendo proprio il motto “Dammi le anime, e tieniti tutto il resto”.
Il giovane Domenico Savio è il primo dei frutti del sistema preventivo. Maria Ausiliatrice, che sempre sostenne don Bosco nella sua opera, gli ottenne numerosissime grazie, anche straordinarie, e il denaro necessario per tutte le sue imprese. Lo aiutò anche nella costruzione dell’omonima Basilica.
Le Figlie di Maria Ausiliatrice, i Salesiani Cooperatori
Con l’aiuto di santa Maria Domenica Mazzarello fondò l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Insieme ai suoi benefattori e ai laici impegnati diede vita ai Cooperatori Salesiani.
Don Bosco morì logorato dal lavoro a 72 anni, il 31 Gennaio 1888. Oggi i salesiani sono presenti in tutto il mondo, ed egli è stato riconosciuto dalla Chiesa come “padre e maestro dei giovani”.
Pio XI, che lo aveva conosciuto, lo beatificò nel 1929, e lo canonizzò il giorno di Pasqua, 1° aprile 1934.
Don Bosco a San Benigno
Don Bosco fu invitato per la prima volta a San Benigno dal parroco del tempo, don Benone. Il santo stava meditando sulla locazione della casa di formazione per i futuri salesiani, e la coincidenza sembrò provvidenziale. Il vescovo di Ivrea, Mons. Moreno, venne consultato, ma diede parere negativo, forse perché intendeva utilizzarlo per altri scopi della Diocesi. Alla morte del vescovo, nel 1878, il parroco riprese le trattative e il Comune, destinatario del bene, approvò la subcessione del palazzo abbaziale a Don Bosco il 24 novembre di quell’anno. Egli si impegnava a destinarlo anche a scuole diurne per la scolaresca del paese, scuole serali per adulti, luogo per giovani. E così, all’inizio del luglio 1879, a piedi da Torino, giunsero cinquanta chierici per trascorrere le vacanze estive nella nuova casa. Il 17 settembre fu deciso che i chierici ascritti avrebbero passato il loro anno di prova a San Benigno.
La camera di Don Bosco
Don Bosco fece la prima visita ufficiale la sera del 19 ottobre 1879, accolto da una popolazione festante. Le cronache riportano una decina di volte in cui il santo soggiornò a San Benigno, e la cameretta conserva intatta (o quasi) la sua memoria. A parte la notte concitata del sogno dei dieci diamanti, vanno ricordati i turni di esercizi spirituali, il secondo e il quarto Capitolo Generale, fino all’ultima visita del 20 ottobre 1887, pochi mesi prima della morte.
I Sogni di San Benigno
Una finestra sul futuro
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Il Sogno dei 10 Diamanti
Notte del 10 settembre 1878
Leggi il Sogno
«Nella notte dal 10 all’11, mentre dormivo, la mente si trovò in una gran sala splendidamente ornata. Mi sembrava di passeggiare con i direttori delle nostre case, quando apparve tra noi un uomo di aspetto così maestoso, che non potevamo reggerne la vista. Datoci uno sguardo senza parlare, si pose a camminare a qual che passo da noi. Egli era così vestito: un ricco manto a guisa di mantello gli copriva la persona. La parte più vicina al collo era come una fascia che si rannodava davanti, e una fettuccia gli pendeva sul petto. Sulla fascia stava scritto a caratteri luminosi: LA PIA SOCIETÀ DI SAN FRANCESCO DI SALES NELL’ANNO 1881, e sulla striscia di essa fascia portava scritte queste parole: QUALE DEVE ESSERE.
Dieci diamanti di grossezza e splendore straordinari erano quelli che c’impedivano di fermare lo sguardo, se non con gran pena, su quell’augusto Personaggio. Tre di quei diamanti erano sul petto, ed era scritto sopra di uno FEDE, sull’altro SPERANZA e CARITÀ su quello che stava sul cuore. Il quarto diamante era sulla spalla destra e aveva scritto LAVORO, sopra il quinto nella spalla sinistra si leggeva TEMPERANZA. Gli altri cinque diamanti ornavano la parte posteriore del manto, ed erano così disposti: uno più grosso e più folgoreggiante stava in mezzo come al centro di un quadrilatero, e portava scritto OBBEDIENZA. Sul primo a destra si leggeva VOTO DI POVERTA’. Sul secondo, più in basso, PREMIO. Nella sinistra sul più elevato era scritto: VOTO DI CASTITA’: Lo splendore di questo mandava una luce tutta speciale, e mirandolo traeva e attraeva lo sguardo come la calamita attrae il ferro. Sul secondo a sinistra, più in basso, stava scritto: DIGIUNO. Tutti questi quattro ripiegavano i loro raggi verso il diamante del centro.
Questi brillanti tramandavano dei raggi che a guisa di fiammelle si alzavano e portavano scritte qua e là varie sentenze.
Sulla Fede si elevavano le parole: “Imbracciate lo scudo della Fede per vincere le insidie del demonio”. Un altro raggio aveva: “La fede senza le opere è morta. Non chi ascolta, ma chi pratica la legge possederà il regno di Dio”.
Sui raggi della Speranza: “Sperate nel Signore, non negli uomini. I vostri cuori siano sempre fissi dove sono le vere gioie”. Sui raggi della Carità: “Portate gli uni i pesi degli altri, se volete compiere la mia legge. Amate e sarete amati, ma amate le anime vostre e le anime altrui. Recitate devotamente il Divino Ufficio; celebrate la Santa Messa con attenzione; visitate con grande amore il Santo dei Santi”.
Sulla parola Lavoro: “Rimedio alla concupiscenza, arma potentissima contro tutte le tentazioni del demonio”. Sulla Temperanza: “Il fuoco si spegne se si toglie la legna. Fate un patto con i vostri occhi, con la gola e col sonno, affinché questi nemici non vi rubino le vostre anime. Intemperanza e castità non possono abitare insieme”.
Sui raggi dell’Obbedienza: “È il fondamento di tutto l’edificio e il compendio della santità”. Sui raggi della Povertà: “Il Regno dei Cieli è dei poveri. Le ricchezze sono spine.
La povertà non si vive a parole, ma si pratica con l’amore e con i fatti. Essa aprirà le porte del Cielo e vi entrerà”.
Sui raggi della Castità: “Tutte le virtù vengono insieme con essa. I mondi di cuore penetrano i segreti di Dio e vedono Dio stesso”.
Sui raggi del Premio: “Se vi lusinga la grandezza del premio, non vi spaventino le fatiche della conquista. Chi patisce con me, godrà con me. Sono momentanei i patimenti di questa vita; è eterna la felicità che godranno i miei amici in Cielo”.
Sui raggi del Digiuno: “È l’arma più potente contro le insidie del demonio. E’ il custode di tutte le virtù. Col digiuno si scaccia ogni genere di demoni”.
Un largo nastro a color di rosa serviva di orlo nella parte inferiore del manto, e sopra questo nastro era scritto: “Questo sia l’argomento delle vostre esortazioni del mattino, del mezzogiorno e della sera. Raccogliete le briciole delle virtù e vi costruirete un grande edificio di santità. Guai a voi che disprezzate le cose piccole: a poco a poco cadrete”.
Fino allora i direttori erano chi in piedi, chi in ginocchio, ma tutti attoniti e nessuno parlava. A questo punto Don Rua, come fuori di sé, disse: — Bisogna prendere nota per non dimenticare. Cerca una penna e non la trova; cava fuori il portafoglio, fruga e non ha la matita. — Io mi ricorderò — disse Don Durando. — Io voglio notare — aggiunse Don Fagnano —, e si pose a scrivere con un gambo di rosa. Tutti miravano e comprendevano la scrittura. Quando Don Fagnano cessò di scrivere, Don Costamagna continuò a dettare così: —La carità capisce tutto, sopporta tutto, vince tutto: pratichiamola con la parola e con i fatti. Mentre Don Fagnano scriveva, scomparve la luce, e tutti ci trovammo in folte tenebre. — Silenzio — disse Don Ghivarello —‘ inginocchiamoci, preghiamo e la luce verrà. Don Lasagna cominciò il Veni Creator, poi il De profundis e Maria Auxilium Christianorum, a cui tutti rispondemmo.
Quando fu detto Ora pro nobis, riapparve una luce che circondava un cartello su cui si leggeva: LA PIA SOCIETA SALESIANA QUA LE CORRE PERICOLO DI ESSERE NELL’ANNO 1900. Un istante dopo la luce divenne più viva a segno che potevamo vederci e conoscerci a vicenda. In mezzo a quel bagliore apparve di nuovo il Personaggio di prima, ma con aspetto malinconico, simile a colui che comincia a piangere. Il suo manto era divenuto scolorato, tarlato e sdrucito. Nel sito dove stavano fissi i diamanti vi era invece un profondo guasto, cagionato dal tarlo e da altri piccoli insetti. — Guardate — egli ci disse — e intendete. Ho veduto che i dieci diamanti erano divenuti altrettanti tarli che rabbiosi rodevano il manto.
Pertanto al diamante della Fede erano sottentrati: sonno e accidia.
Alla Speranza: risate e scurrilità.
Alla Carità: negligenza nel compiere i divini Uffici. Amano e cercano i propri comodi e non gli interessi di Gesù Cristo.
Alla Temperanza: golosità e piaceri sensuali.
Al Lavoro: il sonno, il furto e l’ozio.
Al posto dell’Ubbidienza non vi era altro che un guasto largo e profondo senza scritta.
Alla Castità: concupiscenza e vita mondana.
Alla Povertà era succeduto: dormire, vestire bene, mangiare e bere, denaro a disposizione.
Al Premio: “Ci basta godere la vita presente”.
Al Digiuno: Vi era un guasto, ma niente di scritto.
A quella vista fummo tutti spaventati. Don Lasagna cadde svenuto, Don Cagliero divenne pallido come una camicia e, appoggiandosi sopra una sedia, gridò: — Possibile che le cose siano già a questo punto? Don Lazzero e Don Guidazio stavano come fuori di sé e si porsero la mano per non cadere. Don Francesia, il Conte Cays, Don Barberis e Don Leveratto erano quivi ginocchioni pregando con in mano la corona del S. Rosario. In quel momento si fece intendere una voce cupa: — Come è svanito quello splendido colore! Ma nell’oscurità successe un fenomeno singolare. In un istante ci trovammo avvolti in folte tenebre, nel cui mezzo apparve tosto una luce vivissima, che aveva forma di corpo umano. Non potevamo tenerci sopra lo sguardo, ma potevamo scorgere che era un avvenente giovanetto, vestito di abito bianco lavorato con fili d’oro e d’argento. Tutto attorno all’abito vi era un orlo di luminosissimi diamanti. Con aspetto maestoso, ma dolce e amabile, si avanzò verso di noi, e ci indirizzò queste parole testuali:
— Servi e strumenti di Dio onnipotente, ascoltate e intendete. Siate forti e robusti. Quanto avete veduto e udito è un avviso del Cielo, inviato ora a voi e ai vostri fratelli. Fate attenzione e intendete bene quello che vi si dice. I colpi previsti feriscono di meno e si possono prevenire. Le parole indicate siano tanti argomenti di predicazione. Predicate incessantemente a tempo e fuori tempo. Ma le cose che predicate fatele sempre, sicché le vostre opere siano come una luce che, sotto forma di sicura tradizione, s’irradi sui vostri fratelli e figli di generazione in generazione. Ascoltate bene e intendete. Siate oculati nell’accettare i novizi, forti nel coltivarli, prudenti nell’ammetterli. Provateli tutti, ma tenete sol tanto il buono. Mandate via i leggeri e volubili. Ascoltate bene e intendete. La meditazione del mattino e della sera sia sull’osservanza regolare. Se ciò farete, non vi verrà meno giammai l’aiuto dell’Onnipotente. Diverrete spettacolo al mondo e agli angeli e allora la vostra gloria sarà gloria di Dio. Chi vedrà la fine di questo secolo e il principio dell’altro dirà di voi: “Dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri”. Allora tutti i fratelli e figli vostri canteranno: “Non a noi, Signore, non a noi, ma a tuo nome dà gloria”.
Queste ultime parole furono cantate, e alla voce di chi parlava si unì una moltitudine di altre voci così armoniose e sonore, che noi rimanemmo privi di sensi e, per non cadere svenuti, ci siamo uniti agli altri a cantare. Al momento che finì il canto, si oscurò la luce. Allora mi svegliai e mi accorsi che si faceva giorno».
Promemoria
«Questo sogno durò quasi l’intera notte, e sul mattino mi trovai stremato di forze. Tuttavia per timore di dimenticarmene, mi sono levato in fretta e ho preso alcuni appunti che mi servirono come di richiamo per ricordare quanto qui ho esposto nel giorno della Presentazione di Maria SS. al Tempio. Non mi fu possibile ricordare tutto. Tra le altre cose ho potuto con sicurezza rilevare che il Signore ci usa grande misericordia. La nostra Società è benedetta dal Cielo, ma Egli vuole che prestiamo l’opera nostra. I mali minacciati saranno prevenuti se noi predicheremo sopra le virtù e sopra i vizi ivi notati; se ciò che predichiamo lo tramanderemo ai nostri fratelli con una tradizione pratica di quanto si è fatto e faremo. Ho potuto anche rilevare che ci sono imminenti molte spine, molte fatiche, cui terranno dietro molte consolazioni. Circa il 1890 gran timore, circa il 1895 gran trionfo. Maria, Auxilium Christianorum, ora pro nobis» . Il biografo Don Cena commenta: «La portata del sogno non ha limiti di tempo. Don Bosco diede l’allarme per un momento speciale che doveva seguire alla sua morte; ma il “Quale deve es sere la Congregazione” e il “Quale è in pericolo di essere” con tengono un ammonimento che non perderà mai nulla del suo valore, sicché sarà sempre vera la dichiarazione fatta da Don Bosco ai Superiori: “I mali minacciati saranno prevenuti, se noi predicheremo sul le virtù e i vizi ivi notati”»
Il Sogno Missionario
Notte del 10 settembre 1878
Leggi il Sogno
Questo è il sogno che decise Don Bosco a iniziare l’apostolato missionario dei suoi figli Salesiani. Lo ebbe nel 1872 e lo raccontò per la prima volta a Pio IX nel marzo del 1876; in seguito ne ripetè il racconto anche ad alcuni Salesiani.
«Mi parve, disse, di trovarmi in una regione selvaggia e affatto sconosciuta. Era un’immensa pianura tutta incolta, nella quale non si scorgevano né colline né monti. Ma nelle estremità lontanissime la profilavano tutta scabrose montagne. Vidi in essa turbe di uomini che la percorrevano. Erano quasi nudi, di un’altezza e statura straordinaria, di un aspetto feroce, con i capelli ispidi e lunghi, di colore abbronzato e nerognolo, e solo vestiti di larghi mantelli di pelli di animali, che loro scendevano dalle spalle. Avevano per armi una specie di lunga lancia e la fionda.
Queste turbe di uomini, sparse qua e là, offrivano allo spettatore scene diverse: questi correvano dando la caccia alle fiere; quelli portavano conficcati sulle punte delle lance pezzi di carne sanguinolenta. Da una parte gli uni si combattevano tra di loro, altri venivano alle mani con soldati vestiti all’europea, e il terreno era sparso di cadaveri. Io fremevo a quello spettacolo; ed ecco spuntare all’estremità della pianura molti personaggi, i quali, dal vestito e dal modo di agire, conobbi missionari di vari Ordini.
Costoro si avvicinavano per predicare a quei barbari la religione di Gesù Cristo. Io li fissai ben bene, ma non ne conobbi alcuno. Andarono in mezzo a quei selvaggi; ma i barbari, appena li videro, con un furore diabolico, con una gioia infernale, li assalivano, li uccidevano, con feroce strazio li squartavano, li tagliavano a pezzi e ficcavano i brani di quelle carni sulle punte delle loro lunghe picche.
Dopo di essere stato a osservare quegli orribili macelli, dissi tra me:
— Come fare a convertire questa gente così brutale?
Intanto vedo in lontananza un drappello di altri missionari che si avvicinavano ai selvaggi con volto ilare, preceduti da una schiera di giovinetti.
Io tremavo pensando:
— Vengono a farsi uccidere.
E mi avvicinai a loro: erano chierici e preti. Li fissai con attenzione e li riconobbi per nostri Salesiani. I primi mi erano noti, e sebbene non abbia potuto conoscere personalmente molti altri che seguivano i primi, mi accorsi essere anch’essi Missionari Salesiani, proprio dei nostri.
— Come va questo? — esclamavo.
Non avrei voluto lasciarli andare avanti ed ero lì per fermarli. Mi aspettavo da un momento all’altro che incorressero la stessa sorte degli antichi Missionari. Volevo farli tornare indietro, quando vidi che il loro comparire mise in allegrezza tutte quelle turbe di barbari, le quali abbassarono le armi, deposero la loro ferocia e accolsero i nostri Missionari con ogni segno di cortesia.
Meravigliato di ciò, dicevo fra me:
— Vediamo un po’ come ciò andrà a finire!
E vidi che i nostri Missionari si avanzavano verso quelle orde di selvaggi; li istruivano ed essi ascoltavano volentieri la loro voce; insegnavano ed essi mettevano in pratica le loro ammonizioni.
Stetti a osservare, e mi accorsi che i Missionari recitavano il santo Rosario, mentre i selvaggi, correndo da tutte le parti, facevano ala al loro passaggio e di buon accordo rispondevano a quella preghiera.
Dopo un poco i Salesiani andarono a disporsi al centro di quella folla che li circondò, e s’inginocchiarono. I selvaggi, deposte le armi per terra ai piedi dei Missionari, piegarono essi pure le ginocchia. Ed ecco uno dei Salesiani intonare: “Lodate Maria, o lingue fedeli…”, e tutte quelle turbe, a una voce, continuare il canto di detta lode, così all’unisono e con tanta forza di voce, che io, quasi spaventato, mi svegliai.
Questo sogno fece molta impressione sul mio animo, ritenendo che fosse un avviso celeste».
Dapprima Don Bosco credette che fossero i popoli dell’Etiopia, poi pensò ai dintorni di Hong-Kong, quindi alle genti delle Indie; solo nei 1874, quando ricevette i più pressanti inviti di mandare i Salesiani in Argentina, conobbe chiaramente che i selvaggi veduti in sogno erano gli indigeni di quella immensa regione, allora quasi sconosciuta, che era la Patagonia.
« Chi pensava allora ai miseri abitatori di quelle estreme piaghe dell’America Meridionale? I geografi ne avevano una nozione molto vaga. I Governi argentino e cileno si curavano tanto poco degli Indi, che li escludevano dai loro censimenti, come se non esistessero. Perfino a Roma eminenti prelati giudicavano utopie i disegni di Don Bosco; un cardinale disse che egli voleva mandare a evangelizzare le erbe della Pampa.
Don Bosco invece, assiduo lettore degli Annali della Propagazione della Fede, sapeva da gran tempo che colà vivevano popolazioni selvagge, a cui non risplendeva ancora la luce del Vangelo. Nelle sue grandi frazioni missionarie, affrettava col cuore il giorno in cui avrebbe potuto inviarvi banditori della divina Parola, quando ebbe questo sogno che molto lo impressionò».